Finanza innovativa e Partnership pubblico privato: la prima infrastruttura su cui investire è la conoscenza

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Presentato a Benevento il primo rapporto dell’Osservatorio “Finanza innovativa e Partnership pubblico privato nel Mezzogiorno” istituito in collaborazione tra Calcestruzzi Irpini SpA e Unisannio: la fotografia della realtà ci dice che siamo prigionieri di un gap culturale enorme. Banche e Pubblica amministrazione sul banco degli imputati

Se in un contesto segnato da una inesorabile riduzione di risorse pubbliche per la realizzazione di infrastrutture non c’è alternativa al ricorso agli strumenti di finanza innovativa, la fotografia della realtà ci dice che ad oggi il ricorso a quegli strumenti non ha prodotto, soprattutto in Italia meridionale e segnatamente nelle nostre realtà, risultati propriamente incoraggianti. Le ragioni sono molteplici, coinvolgono tutti gli attori interessati e volendo andare al fondo della questione tutto si spiega con un ritardo culturale che può essere colmato esclusivamente costruendo nuovo rapporto tra pubblica amministrazione, privati ed istituti di credito.

Questo è quanto è emerso dal lungo dibattito tenutosi a Benevento, presso la sala rossa di Palazzo San Domenico, in occasione della presentazione del primo Rapporto dell’Osservatorio “Finanza innovativa e Partnership pubblico privato nel Mezzogiorno”, istituito in collaborazione tra l’Università del Sannio e l’impresa Calcestruzzi Irpini SpA. Oggetto dello studio, le problematiche connesse all’impiego di strumenti di finanza pubblica, nel tentativo di analizzare le opportunità che un maggior grado di autonomia locale e l’introduzione di strumenti di finanza innovativa possono apportare in un contesto caratterizzato dalla progressiva compressione della spesa pubblica per investimenti infrastrutturali.

Lo studio, i cui dati sono stati ben illustrati dal professore Fabio Amatucci, Direttore dell’Osservatorio, e dalla dottoressa Anna Maria Pascale, Coordinatrice del Gruppo di Ricerca, ci consegna, come detto, un quadro intriso di criticità: basti pensare che il 75 per cento degli interventi infrastrutturali finanziati con il ricorso agli strumenti di partnership pubblico privato nel Mezzogiorno o non sono stati completati affatto o sono stati completati sforando tempi e costi.

Muovendo da questo dato, i diversi relatori che hanno preso parte alla tavola rotonda, i cui lavori sono stati introdotti dai saluti istituzionali del Rettore dell’Università del Sannio, Filippo De Rossi, e del Direttore Dipartimento di Diritto, Economia, Management e Metodi Quantitativi, il professore Giuseppe Marotta, hanno fatto emergere, sollecitati dal collega Amedeo Picariello nel ruolo di moderatore, la complessità di un contesto che chiede di essere superato.

I punti deboli, volendo sintetizzare, sono da ricercare nelle lacune di una pubblica amministrazione troppo spesso distratta, incapace di programmare, debole da un punto di vista politico, lacunosa in termini di competenze ed assolutamente inadeguata ad esercitare a pieno il proprio ruolo di indirizzo e di controllo, quindi in un sistema creditizio che ha ormai abbandonato la propria missione infrastrutturale, ingabbiato nella logica meramente imprenditoriale, dunque indisponibile a valutare la qualità progettuale e a rischiare in assenza di una copertura che garantisca a monte l’investimento. In mezzo il variegato mondo dell’impresa, a cui si chiede maggiore coraggio, a cui sono riconducibili esperienze e visioni molto diverse, ma al quale, proprio in ragione delle lacune individuate nella pubblica amministrazione e nel sistema creditizio, non vengono offerte le dovute garanzie, né la certezza di una cornice chiara e riconoscibile di opportunità, norme, premialità e sanzioni.

Tutto questo è emerso chiaramente nel corso del dibattito, quasi assecondandone naturalmente i ritmi.

La traccia l’ha in qualche modo segnata il sottosegretario alle infrastrutture, Umberto Del Basso de Caro, che ha dapprima delineato gli elementi qualificanti del nuovo quadro normativo che andrà a regolare il ricorso agli strumenti di partner pubblico privato (il Governo dovrebbe licenziare il decreto entro e non oltre le prossime due settimane), provando a descrivere le tipologie di interventi già rodati nel Paese volgendo lo sguardo, essenzialmente, alle problematiche che hanno determinato il fallimento di alcuni importanti progetti infrastrutturali, taluni completati con insuccesso, pensiamo alla Brescia Bergamo, altri solo teorizzati come la Orte Venezia, quindi alla gestione di altre grandi infrastrutture, pensiamo alle autostrade.

Problematiche che poi sono state analizzate attraverso gli altri interventi, a partire da quello di Oscar Pesiri, storico Direttore dell’Ufficio Tecnico del Comune di Avellino, che nel ripercorrere la stagione illuminata di Di Nunno, quel disegno di città, le sperimentazioni coraggiose che furono messe in campo proprio sul terreno della partnership pubblico privato, ha posto l’attenzione sul primato della politica, ovvero della rappresentanza, riconducendo il fallimento di quel percorso alla pochezza di chi, dopo Di Nunno, prese le redini della città.

Da un lato la necessità di credere in una visione, la necessità di classi dirigenti in grado di indicare un orizzonte e di coinvolgere competenze, dall’altro quella di un radicale cambio di approccio da parte di un sistema creditizio che, come è emerso chiaramente dal lungo intervento di Alessandro Steffanoni, Responsabile del servizio Project Finance BPER, oggi persegue esclusivamente il profitto, rinunciando completamente alla sua missione originaria, quella di fungere da infrastruttura dell’economia, attore consapevole del processo di produzione di valore pubblico, dunque di valore sociale.

Perché quando si arriva ad affermare, come ha fatto Steffanoni, che le banche finanziano non tanto in ragione della qualità del progetto ma della solidità del privato di turno, che a fare la qualità del progetto è il portafoglio di chi lo propone, allora vuol dire che non rappresentano più l’anello di congiunzione tra la buona idea da realizzare e la sua realizzazione, ma soggetti privati che si muovono su un dato mercato ricercando il profitto.

Ed è in tale contesto che vanno inseriti gli interventi di Silvio Sarno, Amministratore Unico Calcestruzzi Irpini SpA e Advisory Board Osservatorio PPP, quindi quello conclusivo del professore Paolo Ricci.

Sarno ha in primo luogo rivendicato la natura culturale dell’iniziativa messa in campo da Calcestruzzi Irpini e da Uni Sannio con l’istituzione dell’Osservatorio “Finanza innovativa e Partnership pubblico privato nel Mezzogiorno”. D’altro canto, proprio i dati emersi dal primo rapporto, ed il dibattito che ne è scaturito, dimostrano, secondo Sarno, che se per un verso il pubblico, costretto in una visione limitata sin troppo diffusa a livello locale, sembra voler utilizzare gli strumenti di PPP quasi per cercare l’alibi, per sfuggire ad ogni responsabilità, per l’altro le barriere alzate dal settore creditizio, l’indisponibilità del sistema bancario all’investimento in assenza di garanzie ad appannaggio di poche realtà imprenditoriali, mortificano a monte le straordinarie potenzialità di crescita sociale, prima ancora che economica, insite negli strumenti di finanza innovativa. Dunque, immaginare una soluzione di breve periodo alle contraddizioni del sistema sarebbe inutile utopia. La strada è obbligata e passa per un lavoro lungo e faticoso, passa in primo luogo per la formazione, per una lunga semina culturale: l’Osservatorio è uno strumento che va in questa direzione, il tentativo di indicare nella conoscenza e nella sua diffusione la via maestra in primo luogo per le nostre realtà.

Quindi le brevi quanto incisive conclusioni del professore Ricci, che nel passare velocemente in rassegna gli elementi di criticità emersi nel corso del confronto, su tutte la carenza di managerialità pubblica di qualità ed un sistema bancario che ha smarrito la propria dimensione sociale per limitarsi a perseguire il profitto, ha chiuso con una provocazione: dai dati che emergono da questo primo rapporto dovremmo auspicare l’abolizione degli strumenti di finanza innovativa.

Una provocazione, evidentemente, con la quale Ricci ha inteso porre l’accento sulla necessità di perseverare in questo lavoro di studio e di ricerca, nella consapevolezza che non è mai lo strumento a determinare il cambiamento ma è la visione. Gli strumenti servono nella misura in cui ricorrendo ad essi si alimenta un cambiamento di approccio, una nuova lettura della realtà. E l’Osservatorio appena nato risponde esattamente a questa vocazione.

 

Last modified onDomenica, 26 Marzo 2017 20:00

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