CAM, le nuove regole per gli appalti in chiave green

Edilizia chiama, il Ministero dell’Ambiente risponde. Le recenti novità introdotte dai Criteri Ambientali Minimi (CAM) – Dm 11 ottobre 2017 – fanno già discutere gli operatori di settore. Nati per regolamentare in chiave green l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per le nuove costruzioni, ristrutturazione e manutenzione degli edifici pubblici, i CAM appartengono alla famiglia normativa del nuovo Codice degli Appalti.

Ambiti di applicazione
Innanzitutto il Ministero dell’Ambiente chiarisce che i CAM si applicano obbligatoriamente a tutti gli interventi previsti dal decreto. In tutti gli altri casi, non sono considerati obbligatori ma il decreto prescrive che la Stazione Appaltante debba tenerli in considerazione. Per quanto concerne i soggetti abilitati a effettuare la diagnosi energetica, in base ai CAM la Stazione Appaltante deve accertare che la progettazione sia affidata a professionisti accreditati. In tal senso, il Dicastero ha precisato che si tratta di figure professionali che hanno sostenuto e superato un esame di accreditamento presso Organismi di livello nazionale o internazionale riconosciuti e, a loro volta, adeguatamente accreditati (ISO/IEC 17024) e abilitati al rilascio di una Certificazione energetico-ambientale degli edifici secondo i più diffusi rating systems (LEED, WELL, BREEAM, etc). In più, ai professionisti sono richieste competenze generali sulla sostenibilità degli edifici.

Il criterio del “fine vita”
“Gli impianti di un edificio sono inclusi nel piano di disassemblaggio.” Tra le più recenti risposte ministeriali – pubblicata nelle Faq nell’ultimo aggiornamento – ai dubbi sollevati dagli operatori di settore, c’è quella relativa al criterio del fine vita (criterio 2.3.7). Nel dettaglio, il Ministero precisa che “lo scopo del criterio è acquisire le informazioni utili alla fase di fine vita dell’edificio a beneficio della Stazione Appaltante. Nella verifica si chiede un elenco di tutti i materiali e componenti che possono essere in seguito riutilizzati o riciclati, con l’indicazione del relativo peso rispetto al totale dell’edificio.”
“Nel caso degli impianti – aggiunge – quelli che sono stati progettati per essere disassemblabili e riciclabili andranno inclusi nel piano di disassemblaggio, quelli che non lo sono, non andranno in elenco. Per stimolare il mercato della produzione di impianti verso principi di eco design e l’uso di componenti recuperabili, in futuro sarà previsto un criterio premiante per l’installazione di impianti (di riscaldamento, raffrescamento, elettrici, etc) che sono progettati per essere disassemblati e riciclati.”

Materia recuperata o riciclata
Infine, tra i criteri che destano particolari perplessità c’è sicuramente quello inerente ai contenuti di materia recuperata o riciclata. Per la recente normativa tale contenuto deve essere pari ad almeno il 15% in peso sul totale dei materiali riutilizzati mentre per le diverse categorie di materiali e componenti edilizi valgono in sostituzione, qualora specificate, le percentuali indicate nei CAM. Il Ministero sostiene che “per i materiali di cui al cap. 2.4.2 si applicano le percentuali indicate nei relativi paragrafi 2.4.2.1 e seguenti. Per altri materiali (se ce ne sono nel progetto) si fa la somma dei relativi pesi e si calcola il 15%. Questo 15% può essere costituito anche dal differente contributo dato dai diversi materiali considerati. Se così non si riesce ad arrivare al 15% di riciclato complessivo, lo si riporta nella relazione tecnica-illustrativa. Se, invece, non ci sono materiali diversi da quelli indicati ai paragrafi 2.4.2.1 e seguenti, restano le percentuali più basse ivi indicate.”

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ANCE: Previsioni ancora disattese, l'Italia resta un Paese a due velocità

I dati che emergono dall’osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni elaborato dall’Ance per il febbraio 2018 fotografano una condizione dinamica e in crescita, seppur condizionata da una serie d’inefficienze e di ritardi burocratici. L’Italia, di fatto, resta un Paese a due velocità. Se il Pil è cresciuto in media dell’1,6% - sostenuto prevalentemente dalla domanda interna - non si può non tener conto del differenziale con i Paesi europei, che si attestano su una crescita media del 2,4% in termini reali.
In questo contesto il settore delle costruzioni, pur contribuendo con un 8% annuo alla composizione del Pil italiano, non riesce a risalire la china.
“In assenza del crollo osservato negli investimenti in costruzioni,” si legge nel preconsuntivo elaborato dall’Ance,“l’economia italiana avrebbe potuto crescere, mediamente, di circa lo 0,5% in più ogni anno, riportandosi ai livelli pre-crisi similmente a quanto accaduto nei principali Paesi europei”. Su tale risultato, come del resto ci si poteva attendere, incide in modo preponderante l’andamento negativo del settore dei lavori pubblici. Basti pensare che dieci anni di crisi hanno generato un gap d’investimenti in infrastrutture pari a 60 miliardi di euro.

Investimenti in costruzioni

Un cambio di passo è possibile
I dati Istat relativi ai permessi a costruire – riferiti all’edilizia residenziale e non – evidenziano le prime variazioni positive. Inoltre, dal 2016, gli stanziamenti per il settore messi a punto dal Governo sono stati cospicui, a partire dall’aumento delle risorse per le infrastrutture (+72% per il triennio 2016-2018), fino ad arrivare al superamento del Patto di Stabilità (con l’introduzione di misure a sostegno degli enti locali) e alla contestuale programmazione pluriennale per i principali soggetti attuatori (tra cui figurano in special modo Anas e Rfi).
Tuttavia”, stigmatizza Ance, “anche nel 2017 il settore dei lavori pubblici registra un calo netto attestandosi al meno 3% rispetto all’anno precedente. La performance peggiore è quella dei Comuni che nello scorso anno hanno ridotto la spesa per investimenti in opere pubbliche di circa 800 milioni. Un risultato ancora fortemente negativo dopo un 2016 chiuso con meno 1,7% miliardi di spesa. Abbiamo raggiunto il livello più basso dall’inizio della crisi. Mentre il Def è costretto a rivedere al ribasso le proprie previsioni, la clausola europea per gli investimenti – che prevedeva un aumento degli investimenti di 5 miliardi nel 2016 – ha portato invece a una riduzione di 2 miliardi. In più, l’inefficienza nelle procedure di spesa della Pubblica Amministrazione ha annullato gli obiettivi fissati dalle scelte di politica economica”.
In aggiunta, va rilevato che con l’entrata in vigore del nuovo Codice Appalti 2016 – e del decreto correttivo dell’anno successivo – non si è provveduto a un progressivo rilancio del settore. Basti pensare che a causa delle inefficienze diffuse si stima che nel biennio 2017/2018 andranno sprecati circa 6 miliardi d’investimenti. L’intero ammontare della spesa aggiuntiva preventivata dal Governo, dunque, non sarà di fatto esigibile.

Prospettive per il 2018
Le previsioni dell’Ance parlano di una crescita del 2,4% degli investimenti totali nel settore delle costruzioni. Nel dettaglio dei comparti si osserva:
- Nuove abitazioni: +2,8%;
- Riqualificazione edilizia: +1,3%;
- Edilizia non residenziale privata: +3,7%;
- Opere pubbliche: +2,5%.
Per le stime inerenti al comparto delle infrastrutture va tenuto conto degli stanziamenti messi in campo dal Governo, dell’avvio della ricostruzione delle zone terremotate e dell’approvazione, alla fine del 2017, del contratto di programma Anas. Un risultato, tuttavia, che diventerà pienamente esigibile solo se la Pubblica Amministrazione riuscirà a bypassare gli ostacoli relativi ai meccanismi di spesa.
Le dinamiche sottese a questo nuovo trend, inoltre, vanno analizzate tenendo conto della crescita della riqualificazione del patrimonio abitativo, dell’atteso cambio di passo sulle opere pubbliche – dopo oltre un decennio di crisi – e del recupero dei livelli produttivi nella nuova edilizia abitativa. A ciò si aggiunga il consolidarsi della ripresa del comparto non residenziale privato.
“Analogo effetto avrebbero ulteriori misure fiscali,” suggerisce Ance, “per incentivare i processi di riqualificazione urbana. Si tratta, in particolare, della riduzione dell’imposta di registro per la ‘rottamazione’ delle abitazioni obsolete ed energivore, il riconoscimento della detrazione Irpef del 50% per gli interventi di demolizione e ricostruzione – con annesso ampliamento volumetrico e regime di premialità per l’impresa che acquista immobili da efficientare energeticamente – e l’estensione, alle zone a rischio sismico 2 e 3 della detrazione Irpef del 75-85% sul prezzo di vendita per l’acquisto di case antisismiche cedute dalle imprese di costruzioni.”
Tuttavia, in questo scenario, è auspicabile che gli Enti locali assimilino finalmente le nuove regole di finanza pubblica – quali il superamento del Patto di Stabilità interno e la conferma dei meccanismi di utilizzo degli spazi finanziari – per essere in grado, in sostanza, di riattivare una politica di investimenti stabile e regolare. In tal senso, l’approvazione del contratto di programma Anas 2016-2020 e la prosecuzione dell’iter inerente al contratto Rfi 2017-2021, potrebbero riattivare importanti flussi d’investimenti nei prossimi anni.

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